La solidarietà tra migranti è utopia? “Derive” di Pascal Manoukian

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«In Francia, nessuno lo chiamava più per nome, e mai avrebbe immaginato che con il passare del tempo lui stesso potesse dimenticarselo. L’esilio è anche questo, alcune lettere scelte con amore per accompagnarti nel corso di tutta una vita, che di colpo si cancellano fino a non esistere più per nessuno.»

Questo libro fa male. Non c’è scampo al dolore.

È stato un onore e una grande emozione presentarlo davanti a tante persone e ragazzi che desideravano ascoltare me e Pascal. Oltre l’emozione sentivo un grosso peso ogni volta che prendevo la parola per raccontare, per leggere queste storie di solitudine, di sacrificio e di sofferenza. Di come la violenza e l’indifferenza di qui siano preferibili a la miseria e la guerra di lì.

Non aspettatevi buonismi e pura fiction; è un romanzo ma quello che racconta succede ogni giorno. Pascal ha scelto questa forza per arrivare a tutti e perché, forse, la narrativa è l’unico modo che abbiamo per raccontare certe realtà.

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Pascal ci mette di fronte alla dura realtà di paesi tanto diversi e distanti vittime di destini simili. Ci presenta Virgil il moldavo che “da due mesi ormai viveva rintanato in un buco. Una tomba lunga un metro e novanta, larga e profonda uno, scavata con le mani nel bel mezzo della foresta e ricoperta da un tetto di rami e foglie”. Assan e sua figlia Iman di Mogadiscio scappano da un paese spaccato in due controllato da signori della guerra e bambini soldato imbottiti di cocaina, anfetamine e khat: “se incrociavi il loro sguardo eri morto”. Infine Chanchal che a diciannove anni aveva abbandonato casa a Dacca.

Un cattolico, due islamici e un induista che per motivi diversi fuggono e si ritrovano a Villeneuve-le-Roi, un sobborgo parigino in cui sono stati relegati gli irregolari. È qui che i protagonisti cercheranno un po’ di fortuna, nei cantieri a lavorare come bestie per una misera paga, nei boschi a cercare un po’ di riposo e animali da cacciare.

La parte veramente narrativa del libro, come spiega Pascal, è proprio il loro incontro e la solidarietà che nascerà, pura utopia. L’ho chiesto a Pascal se tra clandestini, uomini uniti da un destino simile, ci sia solidarietà e aiuto reciproco. Mi ha risposto che no, questo non avviene quasi mai. Ma lui una speranza vuole darla, vuole far credere che qualcosa di buono ci sia. Lo fa presentandoci Julian e la sua famiglia: francesi che vivono di fianco al cantiere in cui vengono sfruttati Virgil e Assan. Julian offrirà loro un lavoro, pittare casa della nonna, e permetterà loro di viverci tutti insieme.

«Fecero un brindisi tutti insieme. Iman cercò di nascondere una smorfia. Virgil e Assan non erano abituati ai complimenti; pur di non pagarli, i padroni trovavano sempre qualcosa che non andava. Un mezzuccio vecchio come l’immigrazione e il lavoro nero. Meno i clandestini venivano pagati, più tempo ci mettevano a estinguere i loro debiti, più soldi dovevano, più lavori mal pagati erano costretti ad accettare. Un indebitamento perenne che faceva la fortuna di piccoli imprenditori e strozzini. E quando per miracolo un clandestino riusciva a liberarsi da quella prigione, smettevano di dargli da lavorare fino a quando non si indebitava di nuovo e tornava a essere sfruttabile.»

Tanta umanità ma che non riesce a demolire la bestialità dei francesi e degli stessi clandestini che sono riusciti a raggiungere uno scalino solo più alto rispetto agli altri. Pur rimanendo in una situazione di enorme disagio, di illegalità, non conosco altro che lo sfruttamento di chiunque si rivolga loro. Così pretendono soldi in cambio di un posto per dormire in una roulotte con altre persone, per una doccia, usano le ragazze: una gerarchia sociale.

«In una simile corsa a ostacoli tra disperati, spesso la regola è questa. Ci sono troppe ingiustizie per star lì ad affliggersi per ognuna di esse, troppi morti per seppellirli tutti. Bisogna andare contro la propria natura continuamente, sforzarsi di dimenticare ciò che si provava prima. Non c’è posto per la compassione e la pietà. Ti distolgono dalle cose urgenti.»

Quello che ci riporta Pascal è frutto dei suoi 20 anni di reportage di guerra, al seguito di importanti conflitti mondiali che hanno certamente influito sulla scelta di scrivere “Derive”. Non vi illude, non nasconde nulla al lettore perché è con la realtà che la nostra testa e il nostro cuore devono fare i conti, per provare a comprendere veramente chi sono quegli stranieri che tanto ci spaventano e contro cui la società si muove. Riesce a parlare al nostro intimo con una storia semplice e un linguaggio diretto, senza fronzoli. La realtà è questa, la loro storia è difficile esattamente come ci viene raccontata, e io così ce la racconta.

Virgil, Assan, Iman e Chanchal sono l’insieme di tutte le storie che Pascal ha ascoltato, sono tutte le persone che incrociamo sulla nostra strada.

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