Le dicerie possono durare a lungo a Grouse County oppure riproporsi ciclicamente,
come le stagioni.
Quando sento pronunciare la parola America la mia fantasia inizia a lavorare incessantemente. Non sono le grandi città ad attirarmi verso quel paese così tanto discusso, ma quei piccoli stati in cui, si dice, non ci sia nulla. L’Iowa fa parte del mio immaginario da sogno: prati infiniti, chiesette, alberi e villette a due piani con grandi finestre e porticati in cui sostare nelle sere d’estate, su un dondolo. Un po’ influenzata dai film un po’ affascinata da un tipo di vita così diversa dalla nostra, leggere di Stati Uniti, per me, è anche un po’ esserci.
In Grouse County ho ritrovato questa familiarità di paesaggi e di stili di vita. I personaggi creati dalla penna di Tom Drury si muovono in una contea, questo piccolo spazio che dà l’idea di essere chiuso in se stesso, un po’ svagati e sempre con la lentezza che caratterizza luoghi piccoli e di provincia, in cui le dicerie e le voci si diffondono con il vento.
Si avverte quell’intimità familiare, come entrare in ogni casa e sedere al tavolo del soggiorno a bere una tazza di tè, prendendo parte alla giornata tipo di ognuno di loro. È facile, così, ritrovarsi tra i battibecchi di una coppia o a estenuanti riunioni, assistere al fallimento di un negozio o a una esercitazione dei pompieri, più bravi a spegnere gli incendi da loro appiccati per esercitazione. Ci si trova di fronte a una grande comunità di persone così diverse ma in grado di vivere la semplicità di quella vita che gli si offre. Tom Drury mette in scena una rappresentazione quasi grottesca del passare del tempo, dando a ogni personaggio una sua caratterizzazione tra l’ordinario e il bizzarro, senza che questi due elementi possano essere distinti. Si fa presto a sentirsi a casa e a non considerare pazzie dialoghi e comportamenti che ben poco rientrano nella normalità di ognuno di noi, e anche nei romanzi a cui siamo abituati.
Definirlo romanzo corale non è esatto: ognuno ha la sua voce e il suo ruolo, qualcuno ritorna mentre altri vengono lasciati indietro con il loro pezzetto di storia. Tutti lavorano per dare l’idea di comunità, ma ci sono Louise, Tiny, Dan e Mary che si impongono su tutti.
Tiny, all’inizio ladruncolo e vandalo, divorzierà da Louise iniziando un percorso per ritrovare una identità e comprendere quanto quella donna fosse parte di sé.
Mary, la madre di Louise, con cui condividerà piccoli momenti familiari e litigi, ma che non si tirerà indietro nel momento del bisogno.
Louise e Dan, amici, amanti e poi marito e moglie, condivideranno piccole gioie e grandi dolori.
La gente si domandava che cosa ci trovasse Louise in uno come Dan. Ovviamente, lui aveva i suoi pregi. Forse non era particolarmente efficace nella lotta contro il crimine, ma nella maggior parte delle situazioni si comportava in maniera apprezzabile, cosa di cui non tutti i tutori dell’ordine sono capaci. […] La domanda riguardava soprattutto Louise, che si era fatta una certa fama di persona avulsa dal paese e dai relativi affari.
Ogni evento verrà descritto con una asciuttezza di stile sorprendente e spiazzante; nessuna parola di troppo o sbavatura nei dialoghi, non si avverte quasi il senso di angoscia o di agitazione che i personaggi vivono nelle difficoltà di tutti i giorni o in quelle più dure. Pochi passaggi, brevi frasi o la descrizione del cielo riescono a racchiudere sentimenti individuali e universali.
I colori erano vividi e veri, ma in qualche modo loro due sentivano che stavano osservando il panorama senza più riuscire a farne parte.
Solo in un momento l’autore si dilunga su un evento che colpisce Dan e Louise, concentrando l’attenzione su di loro anche quando a parlare sono personaggi di contorno. Racconta senza struggimento, senza aggettivi che servano a quantificare il dolore, non vuole creare pathos o angoscia. Dà l’idea di essere un osservatore posto di lato alla scena, esterno ma vicino al dolore. Quasi come se volesse lasciare ai personaggi il tempo di elaborare, racchiudendo la sofferenza in una bolla trasparente, visibile agli altri ma non penetrabile. In questo il suo stile riesce perfettamente a far penetrare la vicenda nell’immaginario e nel cuore del lettore con facilità e naturalezza.
Non mise via la culla né trasformò la camera della bambina in una stanza di servizio. La gente, anche gente che lei non conosceva bene, si offriva di portar via le cose della bambina, intendendo che qualcuno doveva pur farlo. Lei pensò che un tempo doveva essere una consuetudine, perché le madri, di certo, non se la sentivano di farlo. Tuttavia, le coperte e la sedia a dondolo, la culla e il comò erano la sola prova concreta del fatto che una bambina, a un certo punto, c’era stata.
Tom Drury
La fine dei vandalismi
NNEDITORE
Traduttore: Gianni Pannofino
ISBN: 978-88-99253-55-4
Pagine 400
16,15 €