Sul tradurre | Il ritorno di Nat Tiengo

Alain Beremboom
La dama o la tigre?
traduzione italiana a cura di Angela Valente

Ricordo Nat Tiengo come una ragazzina gracile e scontrosa. A dodici anni, mentre tutte le altre ragazze della classe cominciavano a truccarsi, a pettinarsi secondo la moda, a vestirsi in modo provocante, Nat provava un piacere diabolico nel rendersi brutta.
Magliette troppo grandi, gonne di altri tempi, acconciature da bambina – le trecce con i nastrini, pensate bene! – niente era abbastanza orrendo per lei. Ma era la prima della classe, senza ombra di dubbio: matematica, francese, scienze, non una materia in cui non brillasse. Sempre immersa nelle sue lezioni, in libri o riviste spaventosamente seri, Nat saliva a rifugiarsi in biblioteca appena suonava la campanella della ricreazione mentre noi ci precipitavamo sul campo da calcio. Nessuno fu quindi sorpreso quando si mise a portare gli occhiali – con una montatura ridicola, naturalmente, delle grosse aste di tartaruga nera che le nascondevano il faccino. Isolata dal resto del mondo da un muro di libri, ci sarebbe voluto un ariete per penetrare quella roccaforte. Io non ci pensavo – non più di quanto facessero i miei compagni. Perché a ossessionarci tutti c’era Odette. Odette, una ridente bionda dal lungo collo di madreperla, fisicamente già una vera ragazza che portava a spasso, con una grazia irresistibile, un mucchio di rotondità misteriose facendo finta di non vedere gli sguardi famelici dei suoi poveri ammiratori.
Le giravamo attorno come paparazzi in calore, trovando sempre un pretesto per avvicinarla, parlarle, sfiorarle la pelle iridescente delle braccia. Fatica sprecata. Odette era una star. A volte ricompensava la nostra assiduità con un magnifico sorriso ma concedeva i suoi favori soltanto alle sue due amiche. Immerse in interminabili conciliaboli segreti, tutte e tre trascorrevano il loro tempo a scambiarsi vestiti, dischi e foto e a scoppiare a ridere
ogni volta che comparivo. Ma pazienza…
Mi aspettavo molto dalla gita che, a maggio, ci avrebbe portato per una settimana sulle montagne svizzere. Se, nell’ambiente ristretto della scuola, non ero riuscito ad attirare la sua attenzione, nella patria del cucù la vittoria era (quasi) assicurata. Lo scenario esotico, l’ebrezza delle altezze, la lontananza e le lunghe ore di passeggiate che aiutavano a lasciarsi andare, mi avrebbero permesso di dispiegare tutto il mio fascino. Odette mi avrebbe dato l’occasione di giocare le mie carte, ne ero certo, era fatta.
Ahimè, siccome molti altri avevano architettato lo stesso piano, la vamp, piena, non trovò nella sua agenda la possibilità di concedermi il minimo incontro. Nonostante tutti gli sforzi, non mi rivolse nemmeno uno sguardo. Ero così deluso della sua poca attenzione che mi ritirai, imbronciato, nel mio angolino come un re decaduto. Per fortuna, su consiglio di mia madre, la mia valigia era zeppa di libri – è a questo periodo che risale la mia passione per la lettura: grazie Odette!
Mentre ero immerso in I demoni di Dostoevskij (la copertina ben dritta affinché tutti sapessero) Nat si avvicinò a me. Era la prima volta che notavo la sua presenza dal nostro arrivo in Svizzera. Se mi avessero chiesto se ci stesse accompagnando, non avrei saputo rispondere. Mentre si calcava nervosamente gli occhiali sul naso, mi chiese, farfugliando, se avessi un libro da prestarle. Nell’eccitazione della partenza, aveva dimenticato in camera sua lo zaino di libri che aveva preparato con cura. Sentivo quale sforzo le stesse costando chiedermelo. Mi faceva piacere, è vero – patetica rivincita contro la delusione di Odette. Dopo un attimo di silenzio, feci di no con la testa, come davanti a un bambino inopportuno che continua a elemosinare un dolcetto e con tono arrogante le chiesi quale genere di libri potesse mai leggere lei, facendole capire che quelli che avevo portato probabilmente erano troppo difficili. Nat arrossì, si ricalcò gli occhiali sul naso poi si allontanò mormorando «Scusami. Non parliamone più». Più tardi, in imbarazzo per il mio comportamento, feci scivolare sotto il suo cuscino la mia copia di I demoni.
Il giorno dopo trovai nelle lenzuola due paroline di ringraziamento a cui erano attaccati dei fiori già appassiti. La copia di Dostoevskij ritornò nello stesso modo: in fondo al letto.


Subito sistemai sul suo cuscino un altro libro che mi fu restituito con un biglietto “Mah. Non hai niente di meglio?”. Il giochino continuò così fino alla fine delle vacanze senza che nessuno sospettasse della nostra complicità. Durante il giorno facevamo finta di non vederci, di non conoscerci.
Al rientro scolastico successivo, Nat cambiò scuola. I suoi genitori si erano separati. Ormai viveva con sua madre in un’altra città. Prima di partire, nella mia cassetta postale lasciò una copia di Delitto e Castigo con queste parole: “Nell’attesa di ritrovarci”.
Da quando era scomparsa, il suo aspetto dinoccolato, i suoi vestiti strappati, troppo grandi, la sua aria distante e ironica mi mancavano. Odette mi sembrava davvero insulsa.
Speravo nel ritorno di Nat l’anno seguente. Ma terminai gli studi e poi l’università senza rivederla. Domandai a qualche compagno del liceo. Nel frattempo, ero entrato negli affari – consulente finanziario indicava il mio biglietto da visita. Un giorno, passando davanti a una libreria, fui sorpreso nello scoprire il suo nome stampato a grandi lettere su una locandina.
Nat Tiengo era invitata la domenica dopo a presentare il suo nuovo libro, La madre dimenticata. Non sapevo che fosse diventata scrittrice. A dire il vero, la narrativa non mi interessava più da quando mi ero messo a lavorare; pensavo a leggere solo il necessario.
Mi precipitai nel negozio per comprare il libro. Ce n’era una pila intera su un tavolo in bella vista all’entrata del negozio. Percorrendo la copertina, venni a sapere che La madre dimenticata era il suo terzo romanzo. Comprai immediatamente gli altri due che, mi disse il libraio, avevano conosciuto un successo meritato. E li divorai la sera stessa fino a tarda notte.
Erano infatti dei libri stupendi. Drammatici e divertenti allo stesso tempo. Storie di famiglie dilaniate, di coppie disfatte e di sorelle che si odiano. Fin dalle prime pagine ritrovavo l’ironia di Nat e la sua distanza in quei ritratti patetici di padri, madri, sorelle, tracciati con uno stile semplice, secco. Nat riusciva a suscitare l’emozione del lettore con un’economia di mezzi che mi meravigliò. Anche se quel genere di racconti non mi era mai piaciuto, uscii
dalla lettura sconvolto, con l’impressione che Nat li avesse scritti per me.
La domenica seguente ero così emozionato che, arrivato davanti alla libreria, stavo per tornare indietro. Siccome c’era molta gente, mi ritrovai a spingere la porta e mi persi nella folla. Ritornata la calma, voltai la testa senza scorgere Nat. Stavo chiaramente cercando una ragazzina gracile di tredici anni infagottata come un sacco di patate. Appena si creò il silenzio, uno spot illuminò il piccolo palco allestito per l’occasione. Lei era lì, in piedi, nell’ombra del libraio. Con venticinque anni in più, Nat aveva conservato un aspetto da adolescente cresciuta troppo in fretta, con le lunghe braccia magre e l’aria spaventosamente a disagio davanti a tutti quegli sguardi posati su di lei, un cerbiatto
impaurito in mezzo a una muta di cani. Solo l’estetica della montatura degli occhiali era evoluta. Con una certa esitazione, si sedette su un angolo della sedia, calcò gli occhiali con un movimento che conoscevo bene e guardò la porta come per calcolare la distanza che la separava dell’uscita mentre il libraio vantava le sue qualità e spiegava l’importanza del suo ultimo libro. Poi rispose alle domande con una voce bianca, appena udibile, con un’evidente fretta di finire. Quando la parola fu data al pubblico, Nat si animò un po’. Per un attimo pensai di farle una domanda o di dirle quanto mi fossero piaciuti i suoi libri ma non ne ebbi il coraggio. E mi dissi che riconoscendomi, rischiava di perdere quel po’ di facoltà che sfoggiava ancora.


Seguì il momento degli autografi. Davanti al tavolo si formò una lunga fila. Erano soprattutto donne che avevano tutte qualcosa da dirle – probabilmente si erano riconosciute nei personaggi e si chiedevano come facesse Nat a conoscerle così bene.
Con i tre libri sottobraccio, esitai a mettermi in fila. Quando mi decisi era troppo tardi. Nat ha un treno da prendere, annunciò il libraio. Con gran dispiacere doveva interrompere la sessione delle dediche. Nat si alzò, imbarazzatissima. Per scusarsi, fece un piccolo cenno con la mano verso chi stava aspettando e si allontanò con il libraio. Mentre si dirigeva verso l’uscita del negozio, ebbi un’idea. Mi precipitai verso la sezione dei libri tascabili, mi impossessai di una copia di I demoni, scarabocchiai in fretta le seguenti parole: “Immagino che per l’ennesima volta avrai dimenticato di prendere un libro per il viaggio” e le feci scivolare il libro tra le mani mentre saliva in taxi. Tornando a casa, mi ricordai che, nella fretta, avevo dimenticato di scrivere il mio nome e l’indirizzo. Tuttavia, quindi giorni dopo, nella cassetta postale scoprii un involucro che conteneva una foto in bianco e nero molto sfocata. Io, a tredici anni, seduto su una grossa pietra mentre leggevo I demoni.

Nota di traduzione:
Le retour de Nat Tiengo di Alain Beremboom (1947-), con le sue cinque pagine, rappresenta una piccola sfida traduttiva.
Perché? Perché le dominanti del racconto sono due e l’una si innesta sull’altra: l’esattezza lessicale e la coordinazione per asindeto. Il risultato è un periodo molto lungo che esclude ricorsi alla sinonimia, ma tanto meglio e riposino in pace le buone e vecchie pratiche del traduttese e dell’antilingua.
Per questi motivi e per la lealtà dovuta al testo di partenza, ho cercato di mantenere il più possibile la precisione lessicale – con le sue ripetizioni – e la struttura del periodo, punteggiatura compresa. A volte, invece, ho negoziato un po’ tra le due lingue per andare più incontro al lettore italiano. È il caso, per esempio, della virgola dopo le circostanziali temporali: in francese è obbligatoria mentre in italiano appesantisce la lettura. Da qui la scelta di eliminarla dove possibile.
Consapevole, in ogni caso, che questa traduzione imperfetta è solo una di altre e infinite possibilità imperfette, vi lascio alla lettura del racconto Il ritorno di Nat Tiengo.

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