MaratonaZafón/Il labirinto degli spiriti

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«Mi chiamo Isabella Gispert e sono nata a Barcellona nel 1917. Ho ventidue anni e so che non ne compirò mai ventitré. Scrivo queste righe con la certezza che mi restano solo pochi giorni di vita e che ben presto lascerò coloro con i quali sono più in debito a questo mondo: mio figlio Daniel e mio marito Juan Sempere, l’uomo più buon oche abbia conosciuto, e morirò senza aver meritato tutta la fiducia, l’amore e la devozione che mi ha dato. Scrivo per ricordare e aggrapparmi alla vita.»

Non posso non ammettere quanto la notizia dell’uscita del “Labirinto degli spiriti” mi abbia da subito riportato alla prima lettura di Zafón e a quanto mi colpì quella storia. Rileggere la saga e creare una sorta di maratona grazie alla Mondadori mi ha entusiasmata; non vedevo l’ora di avere tra le mani l’ultimo e chiudere finalmente un cerchio.

Quello che mi si è presentato è un libro diverso: manca la Barcellona misteriosa e gotica, rispetto al primo libro Daniel, Bea, Fermin non sono più i protagonisti assoluti della narrazione, ma saranno sempre presenti perché quella che si dipana davanti ai nostri occhi è la loro storia, la loro e quella di tanti altri personaggi, alcuni già conosciuti e altri che impareremo a conoscere e ad amare. Grazie ad Alicia Gris, donna controversa, debole ma caparbia, e Vargas, verrà alla luce tutto il marcio della città e delle sue alte sfere. Alicia riuscirà a ritrovare una sua pace interiore e anche Daniel, quel ragazzino ingenuo ma coraggioso, diventato padre, riuscirà a raggiungere una calma e una serenità dopo aver finalmente scoperto la verità su Valls e sulla madre; un ragazzo appena maggiorenne con un enorme peso sul cuore, pronto a sacrificare se stesso e la sua famiglia per non lasciar cadere nell’oblio una madre conosciuta appena, lascerà un vuoto nei suoi lettori affezionati.

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L’autore riesce, in maniera incredibile e con ritmo serrato, a tenere il lettore attento con intrighi, misteri, complotti e grande azione. Le storie si intrecciano inevitabilmente e non sono forzate. I personaggi sono sempre ben caratterizzati pur non presentando grande originalità. Ritorna con maggiore forza il Cimitero dei Libri Dimenticati, da Zafón relegato sullo sfondo nei due libri precedenti, un posto che ha fortemente rapito la mia immaginazione di ragazzina e che ancora oggi, non nascondo, riesca a stupirmi e farmi sognare. In un gioco continuo tra Bene e Male, tra vittima e carnefice divisi da un confine così labile e spesso confuso, dove la verità non sempre è la migliore soluzione praticabile, Zafón riesce, ancora una volta, a colpire, commuovere e chiudere il libro con la sensazione di aver fatto parte di quelle vite.

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«Quel libro fu una rivelazione» mi disse Clara. «Per me la lettura era sempre stata un obbligo, una specie di obolo da versare a maestri e tutori. Ignoravo il piacere che può dare la parola scritta, il piacere di penetrare nei segreti dell’anima, di abbandonarsi all’immaginazione, alla bellezza e al mistero dell’invenzione letteraria. Tutte queste scoperte le devo a quel romanzo. Hai mai baciato una ragazza, Daniel?»
Mi mancò il respiro.
«Be’, sei ancora molto giovane. Ma si prova la stessa sensazione, il brivido della prima volta è indimenticabile. Viviamo in un mondo di ombre, Daniel, la fantasia è un bene raro. Quel libro mi ha insegnato che la lettura può farmi vivere con maggiore intensità, che può restituirmi la vista. Ecco perché un romanzo considerato insignificante dai più ha cambiato la mia vita.»

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